Che il Comune di Milano ignori la realtà dei suoi antichi borghi, una settantina, quattro dei quali di origine e prestigio ducale, è cosa tristemente nota. Uno di questi, uno dei più grandi, belli e meglio conservati, è Macconago, sulla via Ripamonti.
Ne è proprietaria in buona parte la Fondazione Del Vecchio e vorrebbe ristrutturarlo insieme alla chiesa del XVIII secolo che poi “regalerebbe” al Comune. In cambio, quest’ultimo le concederebbe 40mila metri cubi in palazzine lineari di nuovo cemento in area verde, per di più rurale e in area storica DA AGGIUNGERE al borgo antico esistente. Potranno abitarci 400 persone, sebbene il borgo non ne abbia mai avute più di 250.
Roberto Schena, giornalista, autore del volume “Milano, la città dei 70 borghi”, solleva un problema: una di queste palazzine, disposta al L, sarebbe da costruire proprio davanti al castello medievale, un bellissimo maniero autentico, con i merli a nido di rondine, fatto costruire dai Visconti ancora prima del castello sforzesco, coprendo totalmente lo scorcio panoramico dalla strada, annullando così l’effetto “cannocchiale ottico” sullo stesso. Peccato, perché è l’angolo più suggestivo del vecchio borgo. Il castello di Macconago è il secondo autenticamente medievale di Milano dopo la residenza sforzesca ed è tra le presenze architettoniche maggiormente significative nel Parco Sud nell’intera area metropolitana.
Per poter concedere i 40mila metri cubi complessivi, di cui la metà ex novo, mai esistiti, occorrerebbero standard a servizi e verde molto più elevati degli 8 metri quadri per abitante qui concessi. Però siccome lo spazio disponibile è poco, tanto che si va a occupare lo spazio panoramico di fronte al castello, tali servizi non verranno realizzati ma pagati dalla proprietà.
L’assessore interessato, Pierfrancesco Maran, dopo anni di silenzio, con una nota del 20 febbraio 2020, garantisce che la chiesa, pericolante, sarà ristrutturata in accordo con la Fondazione Del Vecchio. La realtà della chiesa è drammatica, a ogni temporale viene giù un po’ di tegole e le mura, già crepate, diventano sempre meno solide.
“Ora, bisogna tener conto del fatto che Macconago è un borgo ducale”, sottolinea Schena, “non si può trattare il sito come se fosse una cascina normale da ristrutturare con criteri disinvolti”. Intanto, degrado a parte, è un borgo intatto e di struttura piuttosto complessa, per di più blasonato Visconti-Pusterla.
Insomma, non è che al borgo si possa dare una semplice pittata ai muri, farli diventare bianchi bianchi, come si vede nel progetto. Di questo colore non lo sono mai stati. E non lega né con il colore del castello, anzi sembra estraniarsene, né con il complesso ben conservato di Macconago Piccolo. Ovviamente non si pretende il restauro di fienili e stalle, è giusta l’indicazione di trasformare in appartamenti abitabili il tutto, unico modo di salvare, ma chiudere il cannocchiale sul castello con edifici di nuova costruzione, che non sono mai esistiti prima, dando vita, nei fatti, a un falso borgo, significa stravolgere. Non è questo il modo di restaurare. Eppure, è quello che si vede dal PII di cui si è parlato.
Ci sarebbe poi da dire qualcosa anche sul progetto d’ingrandimento del vicino Ieo. L’istituto europeo di oncologia ha in mente, in nome del progresso, di ingrandirsi fino a raggiungere dimensioni “mostruose” e a grandissimo consumo di suolo agricolo. Ma per ora fermiamoci qui. Ne parleremo in un prossimo articolo dedicato. Cerchiamo di non fare di Macconago uno scadente esempio di urbanistica milanese.”
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